Telemedicina: indagine di IPSOS dopo un anno di pandemia

Telemedicina, uno dei termini che in questo ultimo anno è entrato a far parte del linguaggio comune ma il cui significato vero non è ancora ben compreso nemmeno dagli operatori sanitari. IPSOS, ha condotto a giugno 2020 l’uso della telemedicina i fra medici, pazienti e payers ai tempi del COVID-19 e l’ha ripetuta dopo quasi un anno di pandemia.

I risultati dell’indagine basati su 2500 interviste a medici, pazienti e payers, ha rilevato che dopo un  anno di pandemia l’uso della telemedicina in proporzione agli appuntamenti settimanali si è quasi dimezzato rispetto alla prima rilevazione di giugno con notevoli differenze fra le varie branche specialistiche: ad esempio gli psichiatri che continuano ad adottarla a livelli elevati, mentre i dermatologi la usano meno. IPSOS prospetta la probabilità che l’uso di questa tecnologia continuerà a diminuire man mano che si andrà avanti con le campagne vaccinali.

Più positivi i pazienti che mostrano livelli di soddisfazione molto più elevati rispetto ai medici, i quali invece sottostimano l’opinione dei loro assistiti. Ciò significa che mentre i medici pensano che la telemedicina renda più difficile sviluppare reazioni da parte del paziente, fare una diagnosi o avviare terapie, l’opinione dei pazienti è opposta a questa visione. I payers, inoltre, sembrano essere più allineati ai medici, con gli intervistati di quest’area che hanno espresso preoccupazioni sulla qualità dell’assistenza.

Fra le previsioni scaturite dall’indagine, si ritiene che un appuntamento su cinque sarà condotto usufruendo delle tecnologie messe a disposizione dalla telemedicina, con gli psichiatri che, rispetto ad altri specialisti, si aspettano di continuare a usare di più questa tecnologia. Secondo medici e payers, la telemedicina sarà generalmente richiesta e usata da pazienti per le seconde visite (secondo quanto ribadito dalle recenti linee guida nazionali dedicate alla telemedicina n.d.r.), in condizioni di malattia lievi/stabili e da quelli che fanno follow-up di routine, mentre l’età del paziente non sembra essere un fattore determinante.

 

Dino Biselli

Source: Daily Health Industry